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Il testamento di dolore di Kurt Cobain

Kurt Cobain durante il concerto unplugged di MTV

Le incognite di colui che è stato la voce della generazione X e il suo lungo addio

Per chi, come me, è cresciuto con la loro musica, i Nirvana non saranno mai un gruppo come gli altri. Kurt Cobain, colui che ha messo in musica lo stato d’animo di una generazione intera incompiuta, non sarà mai uno come gli altri. Il 5 aprile non sarà mai una data come le altre. Il 5 aprile di trentanni dopo il suicidio di Kurt Cobain, ancora di più. 
Quando Smells like teen spirit arrivò sugli scaffali dei negozi di dischi nel 1991 (eh sì, la musica si ascoltava ancora comprando supporti fisici, soprattutto cd e musicassette visto che i vinili cominciavano a sparire, ma questa è un’altra storia), probabilmente era tutto già scritto. Non sarebbe potuto essere altrimenti. O forse sì. 
Quando il profumo di teenager di Kurt Cobain, chitarrista, anima, voce e volto dei Nirvana, si accorse infatti di essere diventato un’icona di un’intera generazione, la sensibilità e la sincerità che ne costituivano l’essenza, lo gettarono in uno stato di crisi profonda.
Essere la voce il volto di un’intera generazione di ragazzi, quella che sarebbe stata poi chiamata la generazione X, quella che che è stata lo zoccolo duro del popolo viola, era un controsenso in termini, insostenibile.
Lui, uno dei figli più sensibili di una generazione caratterizzata da mille e dubbi e mille incertezze di un mondo che stava cambiando rapidamente come mai prima di allora, la sua empatia verso il prossimo elevata all’ennesima potenza, si ritrovavano ad essere un punto fermo per centinaia di migliaia di coetanei impauriti e confusi come e più di lui.
Quando Nevermind lo portò alla celebrità e i Nirvana (Kurt Cobain, Chris Novoselic e Dave Groll) arrivarono al successo e il grunge, da musica dello “spleen” diventò main stream, il senso di essere inadatto e impreparato, la responsabilità di dover essere e rappresentare si fece insostenibile. Dirompente e soffocante.
Fino al Point Break. Dopo averci provato dopo il concerto a Roma con la droga, Kurt Cobain riprovò e riuscì a togliersi la vita nella sua Seattle il 5 settembre con un colpo di fucile alla testa. Quella testa allo stesso tempo croce e delizia che aveva partorito decine di canzoni diventate manifesti e grido di un’intera generazione.
Kur Cobain era anche marito di Curtney e padre di Frances Bean. A loro le a Boddah, il suo amico immaginario, lasciò la sua ultima lettera:

"A Boddah
Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso.
Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire.
Tutti gli avvenimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l’etica dell’indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Da troppi anni, ormai, non ho più provato esaltazione ascoltando musica, o creando musica, o scrivendo davvero qualcosa, e per questo mi sento tremendamente in colpa.
Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come per Freddy Mercury, la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non voglio imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti nè nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%.
A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e lo faccio, Dio, credimi lo faccio, ma non è abbastanza). Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino.
Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, inavvicinabile, Pesci, uomo Gesù!
Perché non ti diverti e basta? Non lo so!
Ho una moglie divina che trasuda ambizione e empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia, bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno le farà del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva, rocker morta come me.
Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente.
Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo stravagante, lunatico, bambino! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, e meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Pace, Amore, Empatia.
Kurt Cobain
Frances e Courtney, io sarò al vostro altare.
Ti prego Courtney continua così, per Frances.
Per la sua vita, voglio che sia felice senza di me.
VI AMO, VI AMO"

 

3 Aprile
Foto: flickr.it
Autore
Luca Morazzano

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