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Scaletta Zanclea sotto acqua e fango come il 2009, le colpe

Scaletta Zanclea 2021

Il Consiglio Nazionale dei Geologi ricorda i trascorsi e mette in evidenza le criticità ignorate

Dal 2009 al 2021, sono trascorsi solo 12 anni da quel 1° ottobre quando un movimento franoso investì i centri abitati di Scaletta Zanclea e di Giampilieri, nel Messinese, provocando 37 vittime e danni ingenti. Un evento allora evitabile, che mise in risalto tutte le criticità di una pianificazione mal fatta o del tutto assente, una sfida dell’uomo contro le forze della natura ancora una volta fatale.

Dopo importanti interventi di consolidamento delle aree allora devastate dalla frana la storia si ripete, fortunatamente senza provocare vittime ma rilanciando il tema del rischio e pericolosità residui e della necessità di una pianificazione più attenta ed efficace.

Negli ultimi anni lo Stato ha investito ingenti risorse economiche per fronteggiare le oltre 700.000 frane ed un numero imprecisato di aree a possibile predisposizione al dissesto oggi non censite, finanziando sia interventi che progettazioni atte a sistemare le aree maggiormente esposte al dissesto idrogeologico, ma resta il problema di una carenza culturale in materia di prevenzione non strutturale.

Sull’argomento interviene Filippo Cappotto, vicepresidente del Consiglio Nazionale dei Geologi che dopo un sopralluogo sulle aree interessate dal fenomeno non può non manifestare il suo disappunto: “troppo spesso la difesa del suolo è affidata al cemento, che in alcuni casi può risultare anche peggiorativa rispetto alle condizioni iniziali – sottolinea il vicepresidente – ma in questo caso sebbene gli interventi abbiano funzionato, poca attenzione è stata rivolta all’ambito territoriale significativo, che non è  mai stato considerato come aree ad elevata pericolosità o rischio nelle zone abitate”.

Si ripresenta quindi ancora una volta e con forza l’esigenza di un presidio geologico territoriale, finalizzato esclusivamente alla messa in opera di interventi non strutturali quali valutazione dei rischi residui e quindi pianificazione oculata, non meno importante degli interventi diretti di sistemazione.

“È impensabile – prosegue Cappotto – come, sebbene la criticità dei luoghi fosse nota, poco sia stato fatto in termini di pianificazione”, precisando che “nel 2014 furono redatte delle schede di valutazione del rischio inserite in un Webgis dove si segnalava un rischio elevato per il sito specifico”.

Gli eventi del 13 novembre scorso hanno trovato, tra l’altro, un versante maggiormente predisposto all’instabilità per gli effetti dell’incendio di due anni fa, che introduce un ulteriore elemento sfavorevole alla stabilità delle aree. 

“Siamo ancora troppo distanti dalla progettazione geologica, poco attenzionata dagli Enti, fatta di interventi di rinaturalizzazione delle aree e della regimentazione delle acque superficiali senza canalizzazione cementificata – continua Cappotto – nel pieno rispetto di quelle che sono le dinamiche geomorfologiche dei versanti”. È giunto il momento che finalmente si capisca come in molti casi la cementificazione sia nemica dell’uomo e che finalmente si inizi ad affidare a tecnici qualificati e specifici la progettazione di interventi che più consoni ai i processi naturali, anche in considerazione di eventi metereologici che stanno diventando sempre più estremi”. Conclude il geologo messinese.

3 anni fa
Autore
Luciano Razzano

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