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A San Marino si vota il referendum per depenalizzare l’aborto

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Domenica 26 l'Unione Donne Sammarinesi deciso a cancellare una legge del 1865 che impedisce l'interruzione volontaria della gravidanza

Abbiamo guardato con ribrezzo al Texas, in seguito alla recente approvazione della legge repubblicana nella quale si vieta l’aborto dopo le sei settimane di gestazione e che lo stesso presidente Biden ha dichiarato “chiaramente incostituzionale”. A gennaio di quest’anno ci siamo unite, perlomeno via social, alle migliaia di manifestanti scese in piazza quando in Polonia è entrata in vigore una delle leggi sull'aborto più restrittive d’Europa che, di fatto, impedisce l’interruzione volontaria di gravidanza tranne nei casi di stupro e incesto e quando la salute della madre sia a rischio.

Ma sarebbe bastato focalizzare lo sguardo un po’ più vicino per accorgerci che la Serenissima Repubblica di San Marino, microstato all'interno del territorio italiano, è uno degli ultimi stati europei, insieme ad Andorra e Malta, a considerare l'aborto come reato penale alla stregua di un omicidio.

Confermata in epoca fascista e dal codice penale in vigore, la legge sammarinese risale al 1865 e, attraverso l’articolo 153 condanna alla prigionia di secondo grado - fino a sei anni di reclusione - ogni donna che scelga di interrompere la gravidanza e chiunque le presti aiuto. Senza eccezioni. Però, in caso di motivo d’onore, ecco che le pene diventano più lievi, infatti l’articolo 154 si preoccupa di specificare una fattispecie autonoma di reato, per cui state pur tranquille: se il figlio è illegittimo, in questo caso l’aborto verrà punito “solo” con la prigionia di primo grado - da tre mesi ad un anno.

L’importantissimo referendum che si celebrerà domenica 26 settembre è stato promosso dall’Unione Donne Sammarinesi (UDS), una scelta obbligata dopo 18 anni di proposte e petizioni mirate alla depenalizzazione dell’aborto che sono state del tutto disattese dallo Stato. Più di tremila le firme raccolte dal comitato promotore, tre volte il necessario a riprova dell’interesse che la cittadinanza ha sull’argomento, per una battaglia di civiltà che riguarda tutte le donne, non solo quelle di San Marino. Una battaglia per superare l’ipocrisia. Perché alla fine, questo referendum chiede di dare legittimità a una situazione di fatto e di riconoscere alle donne il diritto di autodeterminarsi all’interno di un sistema sanitario che le accolga e le assista invece di trattarle da criminali. Da sempre le donne di San Marino si spostano per abortire, vanno all’estero, molto banalmente in Italia. Con una spesa di circa 2mila euro, le sammarinesi che possono permetterselo percorrono i pochi chilometri che le separano dal confine per usufruire del sistema sanitario, dell’anonimato e della libertà di scelta concessi dallo Stato vicino e negati dal proprio. Sempre che ci riescano perché, come ben sappiamo, anche la nostra legge 194 viene regolarmente disattesa e minacciata dai sempre più numerosi obiettori di coscienza.

“Questa visione della donna madre ad ogni costo, contro la propria volontà, appartiene a un retaggio culturale che la maggioranza dei Paesi civili e moderni ha superato” così Karen Pruccoli, Presidente di UDS. E ancora si esprime il comitato: “Le donne troveranno sempre un modo per abortire. Una donna è disposta a rischiare la vita per non avere un figlio, così come è disposta a rischiare la vita per avere un figlio. Non c’è alcuna differenza”.

Una campagna pacata, equilibrata e scientifica quella di UDS, contrapposta a una propaganda agguerrita e feroce messa in atto dai vari comitati pro-vita che non si sono fatti mancare cartelloni con feti sanguinanti e minori affetti dalla sindrome di Down, un pericoloso boomerang che ha però causato lo sdegno generale tanto da richiederne la rimozione da parte della commissione pari opportunità. È curioso notare come un certo tipo di violenza si nasconda sempre in chi si straccia le vesti in nome della sacralità della vita.

Anche la scelta di UDS di allinearsi alla legge italiana 194/78 è stata voluta al fine di non creare differenze tra l’ordinamento italiano e quello sammarinese. Ecco il quesito: Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?

In caso di vittoria dei sì, il Consiglio Grande Generale (il parlamento di San Marino) ha sei mesi di tempo per recepire la volontà popolare e trasformarla in una legislazione completa. “La popolazione è pronta, le donne sono con noi, soprattutto i giovani. Questa è la loro battaglia. Per adesso speriamo che il referendum passi, poi ci occuperemo della legge” conclude Karen Pruccoli. Il lavoro dell’Unione Donne Sammarinesi, pertanto, è appena cominciato, saranno infatti le attiviste di UDS a vigilare che il tipo di legge proposta dal parlamento in caso di vittoria non ponga in essere ostacoli che limitino le donne nell’esercitare il proprio diritto, così come stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Parlamento Europeo.

3 anni fa
Autore
Athena Barbera

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