Le ostriche della discordia nelle acque della Maddalena
La battaglia del pescatore Pietro Aversano per ottenere l'autorizzazione a coltivare ostriche si scontra con il no del Parco della Maddalena
No, questa non è terra di miracoli, resta terra di sofferenza. A dispetto del nome, sull’isola Maddalena neanche le perle delle ostriche riescono a brillare. Storia singolare questa di un giovane imprenditore sardo, Pietro Aversano, che ha un’idea originale come quella di realizzare un’attività di acquacoltura di ostriche in uno specchio di mare incontaminato, poco meno di 5 ettari, tra le isole de La Maddalena e Caprera, nelle acque cristalline del Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena. Ma subito si scontra con uno dei mali che si rigenera ogni secolo: la burocrazia. Ma andiamo con ordine.
Pietro è pescatore figlio di pescatori, che da generazioni vive della ricchezza di questo canale di mare stretto tra la Corsica e la Sardegna. Il papà, Pasqualino, persevera da generazioni la tradizione di ricavare sostentamento dal mare, la madre Tiziana gestisce un banco ittico al mercato locale, lui stesso, coi fratelli Silvio e Giovanna, si dedica all’attività di famiglia. Aragoste, granseole e scorfani: il Tirreno perimetrato idealmente dal Parco della Maddalena è un mare generoso. Certo, è necessaria l’autorizzazione per ogni tipo di attività, lo sa bene Pietro che 5 anni fa smette di sacrificarsi sui testi di diritto a Milano per rispondere al richiamo ancestrale del mare di casa. Ma se rinuncia alla vita da ufficio in Continente deve essere per un motivo particolare, un obiettivo singolare, cioè un sogno. Solo un visionario come lui poteva abbracciare l’idea di realizzare un allevamento di ostriche (e spugne) all’interno di acque cristalline: le ostriche del Parco!, già riecheggia tra le calette di questo magnifico arcipelago un brand vincente. Una perla di prodotto del mare, verrebbe prosaicamente da scrivere. Ma dall’idea al sogno c’è di mezzo il mare della burocrazia. E sì, perché Pietro si scontra presto col muro di gomma dei rappresentanti di un ente pubblico (leggasi Parco), che blocca con diversi dinieghi la sua richiesta di iniziativa imprenditoriale ma poi, dietro l’insistenza del giovane corroborata da una discreta produzione di relazioni tecniche, preferisce trincerarsi in un silenzio che sfocerà in tribunale. E sì, perché nel frattempo l’ufficio ambiente della Regione Sardegna rileva nei precedenti pareri emessi dal Parco degli aspetti discordanti, sollecitandolo a una risposta. Risposta che non arriva, ma intanto arrivano le dimissioni del direttore Michele Zanelli che lascia il posto a un successore che, a distanza di tempo, rilascia invece un parere favorevole al tipo di attività commerciale. Ma chi non si arrende è sempre Pietro, che nel frattempo, perdurando il silenzio, trascina in tribunale i funzionari del Parco con l’accusa di rifiuto d’atti d’ufficio.
Eppure l’inizio di questa storia profumava di favola. “Tutto nasce quando 5 anni fa partecipai a un incontro della Regione Sardegna sui bandi europei –racconta Pietro-, il tema abbracciava la pesca per imprenditori under 35 nel contesto rivoluzionario di attività a basso impatto ambientale, ma solo a casa ebbi l’illuminazione: deciso a intraprendere un’impresa diversa dal solito, scrissi su Google quali potessero essere le attività di acquacoltura ammesse in un’area protetta, il suggerimento immediato fu ostriche e spugne. Ed è facile capire perché: sono animali che riducono il contenuto virale dell'acqua, sono filtratori naturali eccezionali, ne processano grandi quantitativi ripulendola da tutti i microrganismi”. Sembrava una soluzione facile, servita lì dall’intelligenza artificiale. Difficile affermare che sia un’attività che rovini l’habitat preesistente, come pare assurdo comprendere che la barca eventualmente utilizzata da Pietro per controllare il suo allevamento nello specchio di ostriche eventualmente concesso possa compromettere l’ambiente, “considerato lo stress che vive il mare durante l’estate con l’attività di diporto per via del grande numero di turisti” sottolinea il giovane imprenditore. Ma la lotta contro l’ente Parco è all’alba della sua richiesta, quando i funzionari dell’ente bocciarono l’idea perché tra i molluschi da allevare era presente anche la Crassostrea gigas, meglio conosciuta come ostrica giapponese, una specie ritenuta invasiva. “Nei parchi sono vietate attività e opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggi, in particolare è vietata la propagazione di specie potenzialmente invasive, di provenienza esterna al territorio del sito” così scriveva l’ente nel suo parere negativo rifacendosi al suo stesso statuto. Be’, però l’allevamento di Pietro si concentrava sull’Ostrea edulis, quella piatta, mentre la Crassostrea gigas, quella concava, è declinata in due sottospecie, quella che si riproduce con grande facilità e quella che possiede le gonadi recise, “impossibilitata quindi a riprodursi, utilizzata unicamente per l’allevamento” replica sicuro Pietro, tant’è che le ostriche triploidi sono ‘naturalmente’ sterili, e così questi molluschi concentrano la propria attività a nutrirsi e a ingrassare, per poi essere destinati al mercato per rendere felici i gourmet. Quindi, non esiste il pericolo di infestare mare, scogli e fondali. E infatti, a gennaio di quest’anno ecco arrivare l’autorizzazione nella classica Via (valutazione incidenza ambientale) da parte dell’assessorato all’ambiente della Regione -ma anche dell’ente Parco-, che tradotto significa che nulla osta all’attività imprenditoriale. “Io credo che le iniziali riserve da parte dei rappresentanti del Parco siano dipese dal fatto di trovarsi di fronte a una novità, chi propone per la prima volta un’attività nuova affronta dei pregiudizi che poi si traducono in ostacoli” riprende Pietro. Certo che il Parco producendo pareri negativi senza scomodarsi più di tanto ha trasformato involontariamente Pietro Aversano in un eroe romantico che veste i panni di Davide per combattere contro Golia, fino ad essere appoggiato dalla gente comune non solo moralmente ma anche con fondi grazie a un sistema di crownfunding.
Sta di fatto che dopo il primo niet da parte del Parco risalente all’autunno del 2020, Aversano non s’è arreso: grazie a uno studio di tecnici ha prodotto 150 pagine di licenze ambientali a sostegno della bontà della sua iniziativa (“i pescatori sono i naturali custodi del mare” sorride), demolendo così ogni sospetto iniziale del Parco, tant’è che successivamente l’attuale direttore, Yuri Donno, rilascia parere positivo, sancendo di fatto una pace tra l’ente e il giovane allevatore. Certo, in questo contesto suona stonato che il Parco ancora non si sia dotato di uno strumento operativo come il Regolamento del Parco (previsto per legge) e si rifaccia di continuo allo statuto, che è una bozza di regolamento e come tutte le bozze lascia libere interpretazioni. Ma la battaglia di Pietro è destinata a un happy end, anche per i successivi assist del Parco.
Quindi, a breve, assaggeremo le ostriche del Parco della Maddalena? “No, occorrono altre autorizzazioni per avviare l’attività, più i pareri dell’Asl” sottolinea Pietro. Ma il loro sapore, quello almeno si può immaginare? È simile a quello delle famose ostriche di Tortolì, rinomata località della Sardegna orientale? “Credo che nella scala della degustazione l’ostrica allevata nelle acque del Parco abbia un valore nutritivo maggiore rispetto all’ostrica concava, e questo per via delle correnti, per la temperatura dell’acqua e per il fitoplancton di cui si nutre. Il sogno è creare e allevare un’ostrica di nicchia, un’ostrica del Parco della Maddalena, un’ostrica unica della nostra terra e del nostro mare”.
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