La violenza dei giovani è il fallimento degli adulti
L'arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, torna sulla vicenda del Foro Italico che ha scosso l'Italia incolpando le lacune del sistema di educazione
L'emergenza violenza sulle donne, sugli animali, su chi è più debole e indifeso non accenna a placarsi. "Se anche quest’anno siamo saliti a Monte Pellegrino con il cuore sedotto d’amore, per stare in disparte con la nostra Santuzza al cospetto del Signore, non possiamo negarlo o rimuoverlo, siamo costernati, appesantiti. In città, nell’aria, si respira 'un’inquietudine e una pesantezza sociale'". E' un passaggio dell'omelia pronunciata dall'arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, al Santuario di Santa Rosalia, patrona della città. Il riferimento è ai recenti fatti di cronaca dagli incendi all'emergenza crack sino ad arrivare allo stupro di gruppo di una 19enne da parte di sette ragazzi adesso in carcere. "Siamo sgomenti per le vite dilaniate dei nostri giovani presi d’assalto da incauti mercanti di superalcolici e da accaniti spacciatori di crack, venditori di una felicità contraffatta che stravolge i sentimenti, corrode la mente e i distrugge i corpi", dice l'arcovescovo.
"Siamo ancora sbigottiti dalle immagini del branco che si accalca attorno a una ragazza condotta al Foro Italico per lacerarla nel corpo e nell’anima - aggiunge -. Un manipolo di giovani, accomunati dal delirio di 'onnipotenza virile', che si avventa su di lei come fosse 'carne' da preda. Epilogo del fallimento formativo di noi adulti, delle fondamentali agenzie educative della società". Poi l'emergenza incendi. "È ancora pesante l’olezzo dei roghi che hanno travolto l’ambiente naturale compreso e conteso tra monti e mare, che cinge come grembo ridente la città di Rosalia, la nostra città - dice -. Ora ci appare come grembo sfiorito, arido, sterile, tenebroso, così come si mostra ai nostri occhi anche Monte Pellegrino, la dimora che Rosalia si è scelta per vegliare dall’alto su di noi, per ricordarci di dare un primato a Dio e prenderci cura – come fa lei – della casa comune che abitiamo".
"Non possiamo essere gli amici, i devoti, i concittadini di Rosalia e violentare il suo corpo e la sua casa - denuncia l'arcivescovo -. Aggredire il corpo di una giovane per le strade e tra le case che Rosalia ha contribuito a liberare dalla peste che seminava morte e angoscia, povertà e separazione, significa aggredire e violentare Rosalia, la nostra Santuzza. Ogni giovane donna è Rosalia, ogni anfratto di Palermo è la città che Rosalia ha liberato e che vuole libera dalle pesti di ieri e di oggi. Tutte le volte che appicchiamo un fuoco per incuria o per dolo causando incendi che devastano terreni, boschi, fauna, case e monumenti d’arte; tutte le volte che abusiamo di un corpo - tradendo così il nostro stesso corpo che è fatto non per predare ma per riconoscere, accogliere e amare gli altri -, quando una strada o una casa della nostra città invece di essere via di incontro e spazio esistenziale di cura si trasforma in trabocchetto di agguati o in spelonca di abusi, noi profaniamo Santa Rosalia e disprezziamo la sua e nostra città".
"La questione decisiva della vita, ci ricorda Rosalia, è essere 'ricolmi di tutta la pienezza di Dio' - conclude l'arcivescovo -. È questione di calcolo di intelligenza, mentre è in atto un processo di 'stupidità collettiva', di perdita della 'passione morale' che ci connota come esseri umani. Rosalia ci ricorda di rimanere lucidi, di coltivare una rinnovata sapienza di vita".
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