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Falcone ebbe con il pentito Buscetta un approccio da psicologo

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Ecco gli aneddoti raccontati dal giudice Gioacchino Natoli, ex componente del pool antimafia di Falcone e Borsellino

“Signor giudice, lei deve sforzarsi di pensare come la penso io. Se resta nei confini della sua cultura, dei suoi principi, non capirà mai come Cosa nostra elabora i propri piani. Questo è stato un insegnamento che aveva ben compreso Falcone, una pietra miliare per chiunque si avvicini alle indagini, soprattutto quelle che riguardano i collaboratori di giustizia. Lui ha avuto un approccio quasi da psicologo con Buscetta, che per noi è stato come una sorta di ‘Virgilio’ e ci ha permesso di leggere l’alfabeto della mafia”. E' uno degli aneddoti raccontati dal giudice Gioacchino Natoli, ex componente del pool antimafia di Falcone e Borsellino, citando le parole pronunciate dal pentito Tommaso Buscetta, durante l'incontro organizzato dall'Ordine degli psicologi della Regione siciliana all'Orto Botanico di Palermo. La psicologia come strumento di contrasto alla mafia, sia nelle fasi iniziali delle indagini che nello sviluppo di un processo, come mezzo per meglio comprendere le dinamiche interne a Cosa nostra e contribuire al miglioramento delle condizioni della collettività, accompagnando in un percorso - laddove necessario - sia le vittime che i familiari di un mafioso, spesso incoscienti, magari sino al giorno del blitz, di quali siano i condizionamenti legati all’identità e alla cultura mafiosa. Sono alcuni degli spunti emersi nel corso del convegno. Un incontro che si è rivelato terreno fertile per un interessante dibattito tra psicologi, magistrati e avvocati sul fenomeno mafioso in relazione al contributo che può fornire la psicologia.

Dopo i saluti istituzionali del direttore dell’Orto Botanico, Rosario Schicchi, di Antonio Balsamo, presidente del tribunale di Palermo, di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e di Gaetana D’Agostino, presidente dell’ordine regionale degli psicologi, sono intervenuti il professore Girolamo Lo Verso, le professoresse dell’Università degli studi di Palermo Cinzia Giordano e Serena Giunta, e la psicologa nonché dirigente del Servizio di neuropsichiatria dell’Asp di Trapani, Graziella Zizzo. A questi si aggiungono l’avvocato nonché componenti del Cga, Nino Caleca, e il magistrato Gioacchino Natoli che, nel corso dell’evento organizzato nel trentennale delle stragi, ha ricordato l'aneddoto che riguardava lui, Falcone e il pentito Tommaso Buscetta.

Questo però è solo uno dei tanti aspetti oggetto della discussione durante il vivace dibattito, moderato dalla giornalista Adnkronos Elvira Terranova, dove si sono alternate le psicologhe e psicoterapeute Giordano, Giunta e Zizzo, che hanno analizzato e raccontato - ognuna secondo le proprie competenze e specificità - le ricerche sinora condotte e il lavoro svolto dai gruppi di studio nella prevenzione e nella cura del soggetto la cui storia è legata, per una qualunque ragione, alla mafia. Dopo le professoresse Giordano e Giunta, che hanno presentato dati e risultati raccolti in 28 anni fra studi sociologici, antropologici e psicologici, è intervenuta la dirigente dell’Asp di Trapani che ha ricordato alcune storie che hanno fornito altri spunti per il confronto. Sul maxi schermo anche alcuni scatti della fotoreporter palermitana Letizia Battaglia, come quello che mostrava alcuni bambini - durante gli anni più sanguinosi della mafia - che giocavano con dei gessetti riproducendo per terra delle sagome simili a quelle che venivano tracciate dai poliziotti attorno ai cadaveri dopo un omicidio.

“A volte si presentavano donne con adolescenti - ha riferito la dottoressa Zizzo ricordando alcuni soggetti seguiti nei territori ad alta densità mafiosa - che volevano un sostegno da parte di un terapeuta che potesse salvarli dal loro destino. Ad alcuni poteva servire per sfuggire dal solco della morte o dell’illegalità. Ricordo ragazzi che arrivavano con forme di tossicodipendenza, oppure con gravi disturbi alimentari, con comportamenti autolesivi o che provavano grande vergogna nel sentirsi omosessuali. Omosessualità che invece - racconta - in alcuni casi poteva invece servire come via di fuga dall’identità maschile e più propensa alla violenza nel mondo mafioso, nell’ottica di non doversi sentire obbligato a seguire le orme di un padre legato a Cosa nostra”.

Per la presidente dell’Ordine degli psicologi della Regione Siciliana, Gaetana D’Agostino, l’obiettivo dell’incontro è stato pienamente raggiunto: “Siamo lieti per ciò che è venuto fuori da questa giornata di studio perché si è creata una contaminazione tra professionisti dell’ambito giuridico e psicologico. Speriamo che questo dibattito sia solo il primo di ulteriori confronti che portino a risultati concreti nel contrasto alla cultura mafiosa”.

2 anni fa
Autore
Claudio Mascagni

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