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Gli italiani lasciano casa a 30 anni, la media in Europa è 26,4

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Nell’arco di 10 anni, l’età media dei giovani che lasciano la casa dei genitori è aumentata in 14 Paesi dell’Ue

In media i giovani europei lasciano la casa dei genitori a 26,4 anni; in Italia a 30 anni. Solo i giovani in Croazia (33,4 anni), Slovacchia (30,8), Grecia (30,7), Bulgaria, Spagna (entrambi 30,3) e Malta (30,1) vanno a vivere da soli più tardi di quelli italiani. I dati Eurostat 2022 hanno registrato le età medie più basse in cui si lascia casa, tutte sotto i 23 anni, in Finlandia (21,3 anni), Svezia (21,4), Danimarca (21,7) ed Estonia (22,7).

Nell’arco di 10 anni, l’età media dei giovani che lasciano la casa dei genitori è aumentata in 14 Paesi dell’Ue, in particolare in Croazia (+1,8 anni), Grecia (+1,7) e Spagna (+1,6). Tra il 2012 e il 2022, l’età media europea è variata leggermente, con la più bassa di 26,2 anni registrata nel 2019 e la più alta di 26,5 registrata nel 2012, 2014, 2020 e 2021. 

L’Istituto statistico europeo ha registrato un divario di genere abbastanza netto: in media, gli uomini lasciano la casa dei genitori quasi due anni più tardi delle donne: gli uomini all’età di 27,3 anni e le donne a 25,4 anni nel 2022. Nessun Paese europeo fa eccezione a questo divario, durante lo scorso anno le donne hanno lasciato casa prima degli uomini in tutti i 27 Stati membri. In Italia il gap rispecchia le proporzioni europee: le donne si trasferiscono a 29 anni, gli uomini a 30,9.

Solo in Croazia le donne hanno, in media, lasciato casa dopo i 30 anni. Al contrario, gli uomini si sono trasferiti dopo i 30 anni in 9 Paesi: Croazia, Bulgaria, Grecia, Slovacchia, Spagna, Italia, Malta, Slovenia e Portogallo.

In Finlandia le donne hanno lasciato casa dei genitori in media a 20,5 anni (gli uomini a 22,1), mentre il divario di genere più ampio è stato riscontrato in Romania, dove i giovani uomini hanno lasciato il Paese a 29,9 anni e le donne a 25,4 anni (gap di 4,5 anni), seguita dalla Bulgaria (divario di 4,1 anni), dove gli uomini hanno lasciato il paese a 32,3 anni e le donne a 28,2 anni. I divari più ridotto sono stati registrati in Lussemburgo (0,5 anni), Svezia (0,6), Danimarca e Malta (entrambi 0,7) hanno registrato i divari più ridotti tra giovani uomini e donne che lasciano la casa dei genitori. 

Rispetto alla precedente rilevazione, relativa al 2021, l’età media in cui i giovani europei lasciano casa è lievemente diminuita (26,5 anni contro i 26,4 attuali), mentre quella italiana è di poco aumentata (29,9 anni contro i 30 attuali). Molto eloquente è l’incremento che si è avuto dal 2010, quando i giovani italiani si trasferivano a circa 25 anni, al 2022, quota 30: negli ultimi 12 anni l’età media in cui gli italiani hanno fatto il passo verso la propria autonomia è aumentata di 5 anni. La fatidica domanda “perché gli italiani lasciano casa sempre più tardi rispetto ai coetanei europei?”, ha diverse risposte: stipendi troppo bassi; boom immobiliare; lunghezza degli studi; motivazioni sociali.

La causa economica è quella che più impedisce ai giovani italiani di trasferirsi andando a pagare un affitto o un mutuo. L’Italia è l’unico Paese europeo dove gli stipendi sono diminuiti rispetto a 30 anni fa, mentre il boom immobiliare (secondo punto) non accenna ad arrestarsi.

Secondo gli ultimi dati resi disponibile dall’Agenzia delle Entrate sui contratti stipulati nel 2021, i canoni medi per tutte le tipologie di contratto di locazione sono aumentati del 5,8% rispetto al 2020 e del 5,2% rispetto al 2019. Analizzando dati più recenti, riportati dall’Osservatorio mensile di Immobiliare.it Insights, i canoni sono aumentati dell’1,3% da marzo ad aprile 2023 e di quasi il 6% rispetto al 2022. In un anno sono cresciuti del 4,9% a Roma, del 10,8% a Milano, 5,4% a Napoli, del 10,6% a Torino, del 5,9% a Palermo, del 5% a Genova, del 17,8% a Bologna, del 20,2% Firenze, del 14,1% a Venezia. Questi dati, insieme a quelli sugli stipendi, basterebbero per capire perché i giovani italiani lasciano casa sempre più tardi. 

Ma c’è dell’altro. Il fatto che gli studi, in Italia, durino mediamente di più rispetto a quelli degli altri Paesi europei ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro e di conseguenza la possibilità di andare a vivere da soli. Infine, c’è anche una matrice sociale che incide in una doppia direzione: come riporta l’Istat, nel 2021 il 62,7% dei 25-64enni italiani ha almeno un titolo di studio secondario superiore in Italia, contro il 79,3% della media Ue, l’84,8% della Germania e l’82,2% della Francia. Nella stessa fascia di età, anche la percentuale di chi ha un titolo di studio terziario (20%) è più bassa della media europea (33,4%) ed è circa la metà di quella registrata in Francia e Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).

Questo divario comporta una minore occupazione o degli stipendi più bassi, anche se in Italia il gap salariale è ancora molto ridotto e spesso non premia sufficientemente chi ha studiato di più. Il sistema italiano non è abbastanza premiante rispetto ai partner europei, non solo in relazione agli stipendi, ma anche per la ricerca stessa del lavoro: in Italia i tassi di disoccupazione si attestano al 28,7% tra i diplomati e al 15,6% tra i laureati, risultando superiori del 14% e del 6,8% rispetto alla media europea.

In definitiva, l’aspetto sociale degli italiani “bamboccioni” è di gran lunga il meno importante. Nonostante l’opinione pubblica diffusa anche all’estero, i motivi per cui gli italiani si trasferiscono tardi sono molto concreti e vanno ritrovati, ancora una volta, nel nostro sistema economico e di istruzione.

1 anno fa
Foto: pixabay
Autore
Giada Giacomelli

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