La guerra rallenta la crescita dell'Italia
L'andamento dei consumi cagionerà un inevitabile calo della crescita economica prevista per quest’anno e anche per il 2023.
La maggiore incertezza generata dalla guerra in Ucraina, il rincaro dei prezzi e il parziale spostamento delle scelte dei consumi dai beni ai servizi potrebbero rallentare bruscamente le vendite al dettaglio da parte delle famiglie italiane nei prossimi mesi. Tale andamento dei consumi cagionerà un inevitabile calo della crescita economica prevista per quest’anno e anche per il 2023. Lo segnala il Centro studi di Unimpresa, ricordando che a gennaio, quando il conflitto tra la Russia e l’Ucraina non era ancora iniziato le vendite al dettaglio erano già calate dello 0,5% su base mensile, spinte al ribasso sia dalla diminuzione degli acquisti di beni alimentari (-0,1%) sia di quelli non alimentari (-0,8%). Il conflitto tra la Russia e l’Ucraina non sembra risolvibile nell’arco di un breve periodo, ragion per cui le ripercussioni sull’economia dell’area euro e dell’Italia in particolare saranno rilevanti.
La crescita del pil del nostro Paese sarà assai meno positiva rispetto alle stime di inizio anno, probabilmente ben al di sotto della soglia del 3%. È verosimile che la guerra eroderà oltre un punto e mezzo percentuale di crescita: venerdì prossimo si chiuderà la quarta settimana di guerra e questo ampio lasso di tempo lascia intravedere ancora un periodo lungo prima di una eventuale conclusione del conflitto.
«In questo quadro, il fattore maggiormente negativo è il rincaro dei prezzi dei beni energetici: l’aumento del costo del gas, dell’energia elettrica e dei carburanti per i veicoli ha un duplice effetto sulla spesa delle famiglie, poiché incide sia aggredendo il reddito disponibile sia riducendo le prospettive di fiducia. Il governo dovrà gioco-forza rivedere i suoi piani nel Documento di economia e finanza che sarà presentato, in anticipo rispetto al calendario standard, alla fine di questo mese» osservano gli analisti di Unimpresa.
«Le misure approvate venerdì dal governo per compensare l’impennata dei prezzi dell’energia e dei carburanti sono l’ennesimo pannicello caldo, sono insufficienti per risolvere un problema sia da un punto di vista temporale sia da un punto di vista di importo. Il decreto si fonda su un impianto alla “Robin Hood”, cioè con un prelievo fiscale aggiuntivo sugli extra profitti delle aziende che vendono prodotti energetici, ma questo tipo di interventi spesso si rivela poco efficace, forse fallimentari, oltre a calpestare palesemente le più elementari regole di mercato. Il quadro con cui è indispensabile confrontarsi è critico: le imprese italiane devono far fronte a un rincaro dei costi energetici rilevante che ha già portato, in molteplici situazioni, a un blocco della produzione. In assenza di misure più robuste, le fabbriche resteranno chiuse e ci saranno contraccolpi negativi per il prodotto interno lordo e anche sul versante dell’occupazione», osserva il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara, commentando il decreto legge energia approvato due giorni fa dal Consiglio dei ministri. «Anche per quanto riguarda le famiglie, il decreto legge si traduce in una mancetta che non dà il necessario respiro e compensa solo in parte il rincaro dei carburanti» aggiunge Ferrara.
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