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Non c'è pace in Iran tra polizia, morte e firme

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Dopo la condanna a morte di un manifestante la comunità internazionale continua con le sue petizioni ma occorre un'azione più incisiva

L'Iran ha annunciato di aver giustiziato il primo prigioniero ufficialmente condannato per un presunto crimine in seguito alle proteste organizzate nel paese dopo la morte della giovane donna curda Mahsa Amini, che si trovava in custodia della polizia iraniana per non avere indossato correttamente il suo hijab. Il prigioniero, Mohsen Shekari, è stato condannato per aver ferito "intenzionalmente" una guardia di sicurezza con un lungo coltello e bloccato una strada nella capitale, secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa Tasnim, ed è stato impiccato ieri mattina.

Le autorità iraniane hanno rigettato il ricorso dell'avvocato del prigioniero, ritenendo che “non sia né valido né giustificato”, in quanto ritengono che si sia reso colpevole di “crimini di guerra” bloccando la strada, minacciando con le armi e affrontando gli agenti. La Corte Suprema dell'Iran - che ritiene che le azioni del manifestante siano state un "esempio di ipocrisia" - ha approvato la sentenza stamattina e le ha dato esecuzione. I magistrati si basano su presunte dichiarazioni di testimoni dell'accaduto, i quali avrebbero assicurato che i presenti erano molto spaventati dalla presenza del manifestante armato.

Il portavoce del Dipartimento di Giustizia, Masoud Setayeshi, ha spiegato che per lo stesso reato altre undici persone, tra cui tre minorenni, sono state condannate a "lunghe pene detentive", secondo l'agenzia Isna.

"E’ necessario un intervento autorevole e fermo della comunità internazionale. Le esecuzioni a morte da parte del regime iraniano rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani e delle norme internazionali”. Lo afferma la Cgil nazionale, dopo la notizia dell’esecuzione di Mohsen Shekari, arrestato durante le proteste di piazza contro il regime.

“Ribadiamo - prosegue la Cgil - la nostra vicinanza alle donne, agli attivisti, ai sindacalisti, ai giornalisti e alla società civile, che chiedono pacificamente libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. E chiediamo al Governo italiano e a tutte le istituzioni internazionali e ai paesi democratici, di rafforzare il proprio impegno e di condannare con forza il sanguinario regime iraniano, attuando ulteriori sanzioni e un embargo completo in termini di esportazioni di armi e materiale bellico”.

“Ribadiamo la nostra piena solidarietà e vicinanza - conclude la Cgil - alle vittime di violenza - in ricordo di Mahsa Amini - e lotteremo al fianco della diaspora iraniana e con i sindacati iraniani liberi, autonomi e indipendenti, fin quando le richieste di chi scende in piazza, rischiando la vita, non saranno ascoltate”.

Intanto nelle manifestazioni le forze di sicurezza iraniane mirano al viso, al petto e ai genitali delle donne che protestano contro il regime. E' quanto emerge dalle interviste del Guardian a dieci medici e infermiere che curano di nascosto chi viene colpito in piazza. Le ferite delle donne sono diverse da quelle degli uomini che arrivano per farsi curare con proiettili nelle gambe, nelle natiche o nella schiena. "Vogliono distruggere la bellezza di queste donne", ha testimoniato un medico di Isfahan. Le forze iraniane sparano pallini per la caccia agli uccelli a breve distanza. Particolarmente comuni sono i colpi contro gli occhi di donne, uomini e bambini. "Ho curato una donna giovane di vent'anni o poco più a cui avevano sparato nei genitali, con due pallini. Altri dieci erano conficcati nell'interno coscia. Questi sono stati facili da rimuovere, ma gli altri due no perché si erano annidati fra l'uretra e l'apertura vaginale. C'era un grave rischio di infezione vaginale. Poteva essere mia figlia", racconta un medico.

1 anno fa
Foto: pixabay
Autore
Giada Giacomelli

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