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Hasta siempre Pepe

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Se ne va un grande presidente come Pepe Mujica, che si è sempre battuto per i valori umani

È tutto relativo fino a quando non ci rendiamo conto che la cosa più preziosa che possediamo è il tempo. Una banalità.
Una banalità assolutamente reale che possiedi ma che la pesi quando non ce l’hai più. È questo che deve aver pensato José Pepe Mujica in quelle notti lunghe 12 anni, quando era prigioniero della dittatura civico militare di quell'Uruguay per cui divenne trent’anni più tardi presidente (della Repubblica). Malato da tempo, José Mujica se n’è andato ieri, senza clamore, come si scrive nei coccodrilli più collaudati ma che per lui suonano come parole ovattate, risultando dal 2010 al 2015 il presidente più povero al mondo, quando alla guida di quell’Uruguay per cui s’era battuto col ferro e col fuoco rinunciò ai suoi 8mila euro per trattenerne appena il 10%, destinando il grosso ad associazioni bisognose.
Leader dei Tupamaros durante il terribile periodo della guerra sporca nata con l’Operazione Condor, nel mondo latinoamericano diviso tra i buoni (i militari, con a capo la Cia, e l’Occidente, rappresentato da avide multinazionali) e i cattivi (i socialisti e comunisti, ma generalmente i dissidenti rispetto a chi calpestava i più elementari diritti umani), Pepe Mujica è stato un rivoluzionario che s’è battuto per un mondo migliore, “venendone schiacciato e polverizzato, quindi sconfitto” come dirà lui anni dopo, ha scontato il suo desiderio di trasformazione in un regime carcerario disumano (12 anni in un pozzo, senza alcun tipo di contatto, vedetevi lo straordinario e toccante film “Una notte lunga dodici anni” del regista Àlvaro Brechner), tornato alla politica attiva ha sempre diffuso il verbo che il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo, condannando apertamente quel consumismo sfrenato di cui moltissimi siamo contagiati, elogiando la sobrietà in nome di quella libertà che ci permette di godere appieno la vita. Parole di circostanza? No. Perché una volta presidente, Pepe ha continuato a vivere nella sua fattoria, con la sua compagna di sempre, Lucia Topolanski, a coltivare il suo orto, felice di vivere del giusto. “Non amo la povertà, ma la sobrietà” amava ripetere. Con questo spirito gli ho dedicato il secondo romanzo del mio personaggio seriale, José Cavalcanti, ‘La scelta della pecora nera’, soprannome con cui era noto Mujica, confezionando una storia tra un presente opaco e un passato da riscattare ambientata durante la perfida dittatura in Uruguay. “Stiamo perdendo la battaglia contro il consumo inutile e la banalizzazione della vita. Cosa lascerei alle nuove generazioni? La capacità di destinare più tempo alla vita vera” le famose frasi del discorso a Rio de Janeiro durante la conferenza dell’Onu nel 2012. Parole profetiche se rapportate alla doppia vita che oggi spesso si ha, divisa tra virtuale (tanta) e reale (poca).

Hasta siempre Pepe. 

 

14 Maggio
Autore
Gian Luca Campagna

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