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Caos e scambio di accuse sulle indagini della strage Borsellino

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Giuseppe Seminara, legale di due dei tre poliziotti alla sbarra per il depistaggio sulla strage di via D'Amelio, attacca il magistrato

"Il sistema è fallito, perché è mancata la diga della valutazione della prova. E' mancato il rispetto della giurisdizione da parte dei pubblici ministeri. Che, in tante occasioni, hanno omesso di vagliare gli elementi di prova come avrebbero dovuto. E questa non è la leggerezza a cui ha fatto cenno il Procuratore generale, questa è una grave colpa". E' l'atto di accusa dell'avvocato Giuseppe Seminara, legale di due dei tre poliziotti alla sbarra per il depistaggio sulla strage di via D'Amelio, che oggi ha proseguito l'arringa difensiva. Gli imputati sono l'ex dirigente di Polizia Mario Bo e i due poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Al termine della sua requisitoria il procuratore generale di Caltanissetta, Fabio D'Anna, aveva chiesto 11 anni e 10 mesi di carcere per Bo e 9 anni e mezzo a testa per gli altri due. Il tribunale di Caltanissetta, in primo grado, il 12 luglio 2022, aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Bo e Mattei, mentre Ribaudo venne assolto. L'avvocato, nel suo intervento, parla dei pm che gestirono dopo le stragi l'allora collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino che poi si rivelò falso, facendo condannare otto innocenti all'ergastolo, ma anche del falso collaboratore Salvatore Candura.

"E questa grave colpa la rivediamo in tantissimi atti portati avanti dai pubblici ministeri - dice il legale - Non mi si interpreti negativamente, non significa che ci sia stata una responsabilità da parte dei pm, ma che in quei momenti, per le ragioni storiche, per il particolare dramma che viveva l'Italia, evidentemente c'era questa necessità di procedere attraverso il canale unico che si era palesato e che, a nostro avviso, ha una ricostruzione che si lega a un elemento". E fa riferimento al furto della 126 usata per la strage. Era stato un altro falso collaboratore, come Salvatore Candura, che aveva mentito raccontando di essere stato lui a rubare la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo ed utilizzata per compiere la strage di via D'Amelio, in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Una delle bugie sulle quali era stato costruito "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana", impedendo - ancora oggi - l'accertamento pieno della verità.

Salvatore Candura confessando il furto mai commesso aveva patteggiato la pena nel 1994, era stato poi inevitabilmente assolto nel 2017 dopo la sentenza di revisione del processo sulla strage. "Quindi- spiega l'avvocato Seminara - Se non avessero pensato che la macchina potesse essere rubata da uno fuori dal mandamento, probabilmente oggi non saremmo qua. La convinzione che l'auto doveva essere rubata da qualcuno dello stesso mandamento ha evidentemente fuorviato le indagini. Poi, vi sono stati comportamenti irrituali, leggeri, superficiali, speculativi, da parte di tanti soggetti intervenuti nella attività, che inizia con l'attività della Polizia giudiziaria, sempre su controllo della magistratura e finisce nella valutazione della prova del processo d'appello Borsellino bis".

L'avvocato Giuseppe Seminara nel corso dell'arringa aggiunge: "E' un processo di fallimento di sistema, perché le responsabilità singole dei singoli soggetti sono responsabilità che è difficile o impossibile pesare". Poi il legale aggiunge: "Che vi sia stata una attività precedente è cosa diversa circa la prova che Vincenzo Scarantino sia stato diretto, insufflato, sia stato riempito da parte di La Barbera o di chi apparteneva al gruppo investigativo e sia poi arrivato alle dichiarazione del 24 giugno del 1994 nel carcere di Pianosa. Ma qualcuno ha mai guardato il verbale del 24 giugno?".

"E' una cosa incredibile, non riesco a capire. Scarantino in quell'interrogatorio si accusa di 6 omicidi, e non c'è nessuno che si pone il problema dei sei omicidi? Vengono trasmessi gli atti alla Procura di Palermo, che si fa una grossa risata. Qualcuno si è fatto la domanda: 'Dove sono finiti questi omicidi?'. Se io ho un collaboratore che mi parla di sei omicidi e poi tutto questo svanisce, io ho un collaboratore che deve essere messo fortemente in discussione rispetto al suo apporto conoscitivo".

15 Maggio
Autore
Pasquale Lattarulo

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