L'ultima moda: sputtanare i ristoranti col servizio zelante
Dal bar di Gera Lario all'osteria di Finale Ligure è lotta social contro i servizi zelanti, anche se in Sudamerica le proteste sono ancora più incisive
Sputtanare l’esercente che si è comportato in modo poco carino nei confronti del cliente è diventata una moda? No, è una guida per il consumatore. Perché anche nell’epoca dei social network intelligenza e sensibilità resistono rispetto alla barbarie virale. Certo, il bersaglio preferito restano i ristoratori, ma leggiamo sempre più spesso anche critiche su fiere, negozi fisici e on line di abbigliamento, prodotti tecnologici e via cianciando. In questi giorni alla berlina sono finiti il bar Pace di Gera Lario che ha fatto pagare al cliente il servizio (!) di dividere in due il toast e il ristorante Osteria del Cavolo di Finale Ligure che ha fatto pagare 2 euro il piatto della condivisione (sic!) perché la famigliola aveva sfamato anche la piccola di 3 anni. I titolari finiti nella bufera si sono giustificati urlando che il servizio va pagato: e infatti nessun cliente si lamenta se il servizio si paga, ma polemizza quando è deriso in questo modo, perché il servizio, dato che nessuno nega che ci siano utenti scrocconi, va fatto pagare con quelle voci che siamo abituati a vedere sullo scontrino, dal generico servizio al coperto occupato. Inevitabilmente altre fantasie dei gestori sollevano obiezioni e sarcasmo. L’ostessa Ida Germano, titolare dell’Osteria del Cavolo (si chiama proprio così, toglietevi quel sorrisetto perfido dalle labbra), quella del piatto della condivisione per intenderci, ha annunciato querele. E sì, perché il locale ha avuto l’effetto review bombing, che sta a indicare la tempesta di recensioni negative da parte degli internauti, una protesta figlia dello shitstorm (che non ha necessità di traduzione...), spesso generata per un comportamento non proprio ortodosso del titolare, che va al di là del prodotto offerto. Infatti, i clienti del bar e dell’osteria non si sono lamentati delle pietanze ma piuttosto del servizio sin troppo zelante. Questa indignazione social ricorda tanto altre forme di protesta, molto singolari, come quelle messe in atto dai latinoamericani, di solito molto fantasiosi: ad esempio la pañolada è un gesto di protesta dei tifosi di una squadra di calcio che allo stadio sventolano fazzoletti bianchi; poi c’è il cacerolazo, che è una forma di protesta molto rumorosa, dove i manifestanti percuotono casseruole (da cui il nome), tegami, pentole, coperchi, mestoli per il dissenso nei confronti di alcune azioni governative; ma ce ne è un’altra che in Argentina ha segnato un’epoca: l’escrache, che trae origine dal verbo escrachar, a sua volta dal termine inglese scratch, che significa graffiare o raschiare. Molto in voga subito dopo l’indulto concesso dal presidente Menem, gli argentini quando in un locale pubblico riconoscevano un aguzzino della dittatura militare si piazzavano davanti al locale protestando, finchè il soggetto era costretto a uscire, limitandogli a quel punto ogni tipo di vita sociale. Una sorta di forma di ostracismo, di dissenso, di critica, di ghettizzazione. Ma torniamo in Italia per un attimo. Immaginate, se invece di una recensione negativa, il bar e il ristorante in questione si fossero trovati in SudAmerica: il pubblico avrebbe inscenato un flash mob con tanto di fazzoletti bianchi, sbattimento di pentole da fracassare i timpani e un sit-in silenzioso ma invadente. Che non si lamentino i ristoratori italiani, gli è andata pure bene...
1 anno fa
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