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La novela negra come forma di arma militante

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A la Semana Negra di Gijón una tavola rotonda sull'essenza del genere nero partendo dal quartiere

Il noir, il giallo, il poliziesco, l’hard boiled, il polar, il whodunit, chiamatelo un po’ come volete, forse è fortemente popolare. Te ne rendi conto in tutta la sua multicolore esplosione a la  Semana Negra di Gijón. Il festival di letteratura gialla e nera, qui in Spagna ha il nome chiaro e inequivocabile di novela negra, diretto da Àngel de la Calle, è gioia e festa popolare, riconosce le sue radici dal basso per farle emergere in superficie, è sagra diremmo noi in Italia, è fiesta, non bada alle etichette, è contenuto, la forma resta in soffitta. Ecco, il contenuto, l’essenza, altro che colori e distinzioni tra generi e sottogeneri. 

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Però, andiamo con ordine, altrimenti, rischiamo di lanciare tesserine di un mosaico già troppo grande che rischiamo di smarrirci. La Semana Negra è uno dei festival di letteratura di genere tra i più importanti nel mondo, di sicuro quello più riconosciuto nello spazio della letteratura ispanoamericana e nel tempo (36 edizioni, gente, mica uno scherzo) è diventato una gioiosa fiesta che partendo dalla narrativa s’è allargata alla gastronomia, ai giochi, alla socializzazione. Lungo le transenne tra zucchero cotto, chorizo dolce e piccante, polpo alla gallega, patate in tutte le salse, cerveza che scorre come il Cantabrico cui s’affaccia questa cittadina asturiana di 200mila abitanti, ti lasci catturare da una carrellata di immagini sociali di mostre fotografiche, dove uomini e donne sono scesi in piazza per chiedere lavoro e la dignità del lavoro. Non so se qui qualche esponente di Vox potrà trovare voti ma di sicuro pescherà solidarietà, sentimento, fraternità in quel patriottismo che non divide ma che accoglie. E sì, lo avrete capito, il nero, da ora lo chiameremo così, unisce, è popolare nel sentimento. Senza andare a dragare le storie che hanno più presa nel mondo popolare vi siete mai chiesti quali elementi fondamentali ci sono in quelle che da sempre abbiamo ritenuto storie innocenti, adatte all’infanzia? Nelle favole quanti mostri, quanta cattiveria, quanta malvagità, seppure c’è un happy end, abbiamo trovato? Eppure ce ne hanno raccontate di storie per tranquillizzarci, credendo di farci addormentare dolcemente mentre invece si andavano sedimentando gli incubi che, crescendo, abbiamo ritrovato nella vivida realtà. Eh, esatto. Altro che favole. Ma sono storie, comunque. E bellissime.

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Dicevamo, che bellezza gli incontri de la Semana Negra, sono partiti venerdì 7 e termineranno solo domenica 16 luglio. Così, ti lasci catturare dalla tavola rotonda dal titolo ‘Los barrios de la novela negra española’: sì, avete tradotto bene, i quartieri protagonisti nel nero. Gli autori? Paco Gómez Escribano, Paco Pérez, Francisco Bescós e Ignacio Marín, con la conduzione di José Manuel Estébanez. Mentre il capannone centrale applaude convinto l’affascinante Marta Robles col suo nuovo romanzo ‘Cosa fa la primavera ai ciliegi’ in un’altra tenda assistiamo a questo incontro più per gli addetti ai lavori che per il pubblico. 

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Ovvio che è una scusa per mettere insieme bravi e interessanti autori attorno a un tavolo piuttosto che affrontare un tema che strozza perimetri, insomma si affronta l’anima del noir. E sì, perché se l’idea di partenza potrebbe risultare intrigante, e cioè ambientare una storia con i crismi del noir in un luogo ben delimitato per far conoscere meglio quella porzione di città, ecco che poi cozza con quella regola principale che è propria del giallo (come lo intendiamo noi in Italia, dal nome delle copertine della collana Mondadori, anni ’30. Se fossimo nel Regno Unito lo chiameremmo whodunit, cioè ‘chi è stato?’, insomma l’antenato del Cluedo per essere chiari), ossia ambientare una storia dove un assassino cattivo uccide, con l’azione che si svolge in un microcosmo (villaggio, isola, nave, treno: ambienti non tirati a caso. Quali location di famosi romanzi gialli vi ricordano?), col detective buono che interviene, risolve il caso e affida alla giustizia il colpevole ripristinando l’ordine costituito. E infatti è una scusa: il noir/novela negra ha necessità di spazi, respira oltre, ossigena la sua architettura narrativa oltre i perimetri vitali dei quartieri, poi soprattutto “è un senso d’inquietudine che alberga dentro di noi”, come ci tiene a sottolineare subito Francisco Bescós. Ecco, questo è un altro luogo dove le trame di una storia nera si sviluppa. E poi che dire se sbirciamo il logo di questa 36ma edizione del festival? Domina il Monumiento dell'Horizonte che s'affaccia sul mar Cantabrico, eretto da quel fantastico visionario di Eduardo Chillida: l'orizzonte sconfinato. Il mondo. Altri mondi. Altre genti. Altri costumi. Altro che limitazioni di quartiere. Vero è che qui una parte del monumento è trasformato in un revolver conficcato nel terreno ma è il prezzo da pagare per unire monumentalità architettonica con quella letteraria. 

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E sì, eliminiamo subito un concetto, qui anche se si chiama novela negra somiglia tanto al nostro noir, cioè affonda le sue radici forti, solide, sicure, nel Verismo, nei conflitti sociali, dove la lotta tra le classi persiste e insiste, dove i sentimenti si scontrano, sono autentici, veri, genuini, tra i personaggi. Resta limitante realizzare una storia in un barrio, seppure ha il suo grande fascino, ma forse “è più turistico”, come dice Ignacio Marín, e quindi suscitano dubbi e perplessità se si resta ancorati entro certi confini di quartiere, come se da ora debbano esistere anche storie a km zero. Certo, poi ha ragione da vendere Paco Pérez quando fa capire che “la periferia è fonte permanente di conflitto sociale”, perché sì, è vero, i quartieri non sono altro che un arto del grande corpo della città, che come uno specchio riflette ogni contraddizione cittadina, soprattutto poi se è la sua parte marginale (vedere la banlieue parigina, please), tant’è che in un barrio a distanza di venti o trenta metri puoi incappare in situazioni diverse, in diversi mondi, in condizioni da secondo e terzo mondo, eppure è lo stesso quartiere” sintetizza Paco Gómez Escribano.
Insomma, quello che resta fondamentale in una storia, che sia di quartiere, che abbracci un’intera metropoli, che sia su tutto il territorio nazionale, che sia interstatale, sono i personaggi con la loro caratterizzazione fluida come fluidi sanno essere solo gli esseri umani, poi la trama e comunque la sua lezione (se fossimo in una favola scriveremmo la parola morale). Perché questa resta importante. Sì, va bene, si scrive per evadere e per far evadere, ma non siamo solo in carcere, qui ha ragione Antonio Gramsci quando ribadisce la funzione sociale dello scrittore. E lo ripete a più riprese Ignacio Marín: “il noir è conflitto sociale. In una storia non deve esserci per forza un crimine che poi sfocia in una narrazione poliziesca, al vaglio di una storia ci sono le criticità e le storture della società”, lo stesso Paco Gómez Escribano non ha dubbi che i “romanzi devono lanciare messaggi di speranza e giustizia”, tanto che esiste anche la “responsabilità come osservatore dello scrittore” precisa Francisco Bescós. Poi, alla fine è Ignacio Marín, il più giovane, che non si trattiene più: “le storie nere sono storie di lotta e speranza, perché la letteratura resta una forma d’arma militante”. Eh, già, è questa l’anima nera delle storie e dei personaggi. E degli scrittori. 

1 anno fa
Autore
Gian Luca Campagna

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