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Il Salone della gioia a Torino

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I libri restano il più grande antidoto contro i mali del presente e segnano la ripartenza per un mondo migliore

Sarà che i libri giochino con il simbolismo. Sarà che di simboli sono colmi i libri. Sta di fatto che questo 33mo Salone del Libro di Torino è morte e resurrezione come rappresenta l’anagrafica del primo anarcopacifista della Storia che predicava amore e inclusione. Così, questo 33mo Salone del Libro di Torino è un punto di frattura col passato, vuoi perché è un segnale di go dopo lo stop forzato per un’emergenza sanitaria da romanzo distopico vuoi perché cade in un momento in cui si decide il presente e il futuro del Pese con i ballottaggi in 65 Comuni italiani, dopo una campagna elettorale avvelenata, dove forse per la prima volta in modo deciso il centrodestra italiano è chiamato a fare i conti con la Storia, ad azzerare nostalgie anacronistiche per trasformarsi in nome di una cultura liberista repubblicana. Non è dichiarazione di parte, ma osservazione di un progressismo liberale di cui dovrebbero essere permeati tutti i partiti e movimenti se vogliono che questo nuovo start non accenni frenate nella nuova corsa della vita e del mondo che siamo chiamati a percorrere tutti insieme. Profetizziamo e preconizziamo amore, pace e bene, ma col senso dell’inquietudine dei noir così intriso di passione piuttosto che con i toni del romance da happy end a tutti i costi. E i libri, si sa, anticipano sempre il futuro. Gli scrittori sono visionari, guai se non lo fossero. Non è un caso che in questo Salone ci fosse un cartellone da stropicciarsi occhi, sfregarsi le mani, sturarsi le trombe d’Eustachio in nome e per conto di autori che sono più star che scrittori: Michel Houellebecq, Alberto Angela, Valérie Perrin, David Quammen, Alicia Giménez Bartlett, Roberto Saviano, il tenerissimo omaggio a Lucio Sepúlveda, più una nutritissima schiera di ospiti presi in prestito dal mondo della musica e del cinema, ma soprattutto c’erano loro, i lettori, i veri grandi protagonisti di un anello di congiunzione tra il mercato editoriale e la passione di evadere, cavalcare negli spazi sconfinati degli altrove e vivere le vite intense degli altri. File interminabili (sì, vabbè, c’era il controllo pokeristico in atto per via di green pass, temperatura corporea, perquisizione di rito e ticket), giovani in ogni dove, fusione tra adulti e ragazzi come se si fosse nella festa familiare della domenica, energia e allegrezza ovunque, quasi contagiosa, organizzatori talmente gioiosi che sembravano lievitare, case editrici con sorrisi da +. Certo, la felicità è a momenti come canticchiava il poeta, il weekend gianduiotto è un attimo, è una finestra temporale in un ottobre appassionato e ancora con le sue incognite, ma la partenza per le sfide future ha fatto impallidire anche il nostro Jacobs.

3 anni fa
Autore
Gian Luca Campagna

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