Avvocati e commercialisti proiettati nel futuro
Osservatorio PoliMi: cresce la spesa dei professionisti a 1,7 miliardi con +3,8%
Cresce la spesa digitale dei professionisti che si attesta a 1,76 mld di euro con un incremento del 3,8%. Stando alla ricerca dell'Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, condotta su un campione di oltre 1700 studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro e presentata oggi durante il convegno "Studi professionali: dal valore le indicazioni per lo sviluppo". Nel 2021 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro hanno investito complessivamente 1,76 miliardi di euro in tecnologie digitali, con un aumento del 3,8% rispetto all’anno precedente. Un dato positivo, anche se per la prima volta in dieci anni l’incremento percentuale è inferiore a quello evidenziato dalle aziende (+4,1%), a dimostrazione di una reazione 'tattica' alla pandemia.
Dalla ricerca emerge che solo i grandi studi, prevalentemente del settore legale, hanno elaborato una strategia in grado di innovare il business attraverso le tecnologie più evolute, mentre la maggior parte degli studi professionali presenta modelli di business statici, che hanno indirizzato gli investimenti in digitale verso le esigenze contingenti, come l’adozione dello smart working. Anche la previsione per il 2022 propone una cautela generalizzata, attestando gli investimenti in tecnologia sui livelli del 2021 (+0,2%). Una forte differenza, però, si evidenzia considerando le dimensioni degli studi professionali. Tra le micro realtà, ben l’11% non ha investito nulla in Ict e solo l’1% ha destinato più di 10mila euro, mentre tra gli studi piccoli, medi e grandi solo il 3% non ha investito in tecnologia e il 22% investe più di 10mila euro.
Inoltre, tra i diversi settori, gli studi multiprofessionali sono quelli che spendono di più per il digitale (in media 25.050 euro), in linea con il 2020, gli avvocati hanno visto un aumento degli investimenti del +2,9% (8.950 euro medi), i consulenti del lavoro del +2,5 (10.350 euro), mentre i commercialisti hanno visto scendere gli investimenti in Ict del -5,4% (11.450 euro). Ad essere stati più penalizzati dalla pandemia, anche a causa della chiusura dei tribunali e del rallentamento delle attività giudiziarie, sono soprattutto gli avvocati: solo per uno studio legale su due il 2021 è stato più favorevole del 2020. Mentre i vari provvedimenti del governo a sostegno delle attività economiche hanno incrementato l’attività di commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari, che, nel 60% dei casi, hanno visto aumentare la redditività rispetto al 2020. Se si guardano le perdite, appena il 15% di commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari ha perso oltre il 10% rispetto al 2020, mentre per gli avvocati, la percentuale sale al 25%.
Nello studio emerge però un fattore chiave per rilanciare gli studi in termini economici e finanziari: la collaborazione o l’aggregazione con altre realtà. Quelli che realizzano in modo stabile collaborazioni con altri studi o realtà diverse (come software-house, banche, network internazionali) per sviluppare business congiuntamente evidenziano una percentuale di redditività più alta (68%) rispetto alla media generale (58%). Ma è una pratica ancora poco diffusa: solo l’8% degli studi ha avviato collaborazioni formalizzate, mentre il 26% lo ha fatto in modo stabile ma informale e un altro 26% solo occasionalmente, mentre il 37% non le ha avviate del tutto.
"I professionisti hanno reagito tatticamente alla pandemia, affrontando con il supporto tecnologico la polverizzazione degli uffici nelle case dei dipendenti" spiega Claudio Rorato, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale. "Si è puntato su lavoro da remoto e smart working, ma - prosegue - le realtà più grandi e strutturate, che sono anche quelle che investono di più in innovazione digitale, sono riuscite a gestire meglio la situazione. Negli studi più piccoli, invece, le crisi aumentano le debolezze strutturali già presenti. Gli studi legali, proprio per l’elevata incidenza di microstrutture, soffrono in termini di redditività e di capacità di sviluppo, non riuscendo a elaborare nuovi modelli organizzativi, di relazione e di business. Gli studi più articolati, invece, stanno elaborando modelli avanzati e sempre più competitivi. Oltre alla dimensione, poi, è fondamentale la volontà di collaborare con altre realtà, ma purtroppo il particolarismo vince ancora sulla collaborazione".
"Per far fronte alle difficoltà una delle strade da percorrere è misurare e far percepire ai propri clienti il valore generato all’interno della relazione tra professionista e cliente" afferma Federico Iannella, ricercatore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale. "Ancora una volta, però, si tratta di un’attività che viene considerata importante e portata avanti solo dalle realtà più grandi e strutturate. Gli studi che misurano con regolarità il valore creato per la clientela - aggiunge infine Iannella- vanno dall’8% degli avvocati al 19% dei multidisciplinari, con un disinteresse per il tema che va dal 14% di questi ultimi al 30% degli avvocati. Circa il 40%, in generale, dice di non avere il tempo di farlo".
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