Italia indietro per i pagamenti dalle PA
Ance: "Siamo tra i Paesi più in ritardo su pagamenti Pubbliche amministrazioni"
Si è svolta il 15 novembre l’audizione dell’Ance presso la commissione Politiche dell’unione europea della Camera sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (COM (2023) 533).
Il Vicedirettore generale Ing. Romain Bocognani ha evidenziato, in apertura, che l’Associazione è sempre stata in prima linea nel combattere il fenomeno. Negli anni abbiamo realizzato tutta una serie di azioni volte a fornire regolarmente dati concreti sui ritardi di pagamento ricavati attraverso indagini svolte periodicamente presso le nostre imprese associate. Abbiamo collaborato attivamente con le istituzioni italiane ed europee, in particolare con la Commissione, ricevendo dal Commissario europeo dell’epoca, oggi Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Antonio Tajani, l’incarico di svolgere il ruolo di “rapporteur per l’Italia sui ritardi di pagamento nel settore delle costruzioni”. Nell’ambito di tali attività abbiamo rilevato che a partire del 2010, in particolare, il settore è stato gravemente colpito dal fenomeno dei ritardati pagamenti, a causa dell’applicazione delle regole del Patto di stabilità interno. Ancora oggi facciamo parte dell’Osservatorio europeo sui pagamenti, partecipando attivamente al Forum degli stakeholders.
A 12 anni dall’approvazione della Direttiva 2011/7/UE, il risultato è che i ritardati pagamenti, in particolare della Pubblica Amministrazione, continuano a rappresentare un elemento di forte criticità per le imprese di costruzione. I tempi di pagamento sono ancora lunghi, nell’ordine di 4/5 mesi ma, tuttavia, si sono dimezzati rispetto al picco che si era registrato nelle annualità 2013 e 2014.
Le Pubbliche Amministrazioni continuano a mettere in atto prassi gravemente inique nei confronti delle imprese di costruzione, come ad esempio la richiesta di accettare, in sede di contratto, tempi di pagamento superiori a 60 giorni; di ritardare l’emissione dei SAL o l’invio delle fatture; di rinunciare agli interessi di mora in caso di ritardo.
Appare quindi urgente adottare nuove misure per risolvere il problema dei ritardati pagamenti in Italia e, principalmente, nel settore delle costruzioni. I mancati pagamenti della P.A. provocano importanti effetti negativi sull’occupazione e sugli investimenti nel settore e, più in generale, sul funzionamento dell’economia.
Ciò induce le imprese a dover assumere tutta una serie di decisioni per far fronte alla mancanza di liquidità, come ad esempio la richiesta di anticipo delle fatture in banca; la dilazione dei tempi di pagamento ai fornitori o sub appaltatori; la riduzione degli investimenti dell’impresa; l’autofinanziamento; la richiesta di finanziamento a breve in banca.
Per questi motivi, in sede di proposta di revisione del PNRR, abbiamo espresso forte contrarietà rispetto allo slittamento di 15 mesi -da fine 2023 a marzo 2025- dell’obiettivo della riduzione dei tempi di pagamento della P.A. Quello dei regolari pagamenti alle imprese esecutrici è, infatti, un elemento indispensabile per garantire la realizzazione del Piano e scongiurare interruzioni nell’esecuzione dei lavori del PNRR. Togliendo liquidità alle imprese si rischia di mettere a repentaglio centinaia di opere.
Ha, quindi, evidenziato che l’ANCE ha sempre sostenuto la validità della Direttiva Europea del 2011, nella convinzione che, anziché abrogarla, fosse preferibile apportare alcune limitate modifiche e soprattutto, rafforzarne l’attuazione; posizione espressa anche a livello europeo dalla FIEC (Federazione dell’industria europea delle costruzioni).
Al di là dello strumento che sarà individuato per intervenire sulla materia, sia che si tratti di una Direttiva che di un Regolamento, i nostri obiettivi sono quelli di evitare le citate prassi inique volte a disapplicare la Direttiva, nonché quelli di garantire:
– un chiaro obbligo per i tempi di pagamento della P.A.;
– libertà contrattuale nei rapporti tra privati, con la previsione di criteri direttivi e indicazioni di riferimento sui tempi di pagamento, così da evitare gli abusi.
La proposta di regolamento si inserisce nel più ampio pacchetto di misure per il sostegno alle piccole e medie imprese e sostituisce ed abroga l’attuale Direttiva 2011/7/UE.
In particolare, punta a definire un approccio uniforme e vincolante volto a contrastare i ritardi di pagamento, applicabile alle imprese di tutte le dimensioni. Tale approccio, tuttavia, lascia agli Stati membri la possibilità di regolare in maniera più stringente alcuni aspetti.
Come recita l’art. 1, il futuro regolamento si applicherà ai pagamenti effettuati in transazioni tra imprese o tra imprese e amministrazioni pubbliche, nelle quali l’amministrazione pubblica è la parte debitrice, mentre non avrà applicazione per le transazioni con i consumatori, per i pagamenti effettuati a titolo di risarcimento danni e per i pagamenti relativi a debiti oggetto di procedure concorsuali, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito.
L’art. 3 introduce la novità di un unico termine massimo di pagamento di 30 giorni per tutte le transazioni commerciali, in tutta l’UE. Le parti possono negoziare qualsiasi termine di pagamento purché non superi i 30 giorni. La proposta non pregiudica i termini di pagamento più brevi stabiliti dalla legislazione nazionale.
La proposta elimina anche il concetto ambiguo di disposizioni contrattuali “gravemente inique”, sostituendolo con un elenco di termini e pratiche di pagamento ingiusti ben identificati, nulle e prive di effetto ai sensi del regolamento.
Le nuove norme propongono di rendere automatico e obbligatorio il pagamento degli interessi, che maturano fino al pagamento dell’intero debito, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (art. 5). Il creditore è quindi sollevato dall’onere di pretendere il pagamento degli interessi, che diventano un obbligo automatico dei debitori quando pagano in caso di ritardo nel pagamento. In base alla proposta di regolamento, gli Stati membri devono istituire autorità di controllo per monitorare e garantire l’applicazione delle norme (art. 13). Tali autorità hanno il potere di ricevere reclami, avviare indagini ed emanare sanzioni contro i pagatori ritardatari che siano efficaci, proporzionate e dissuasive (art. 14). Inoltre, gli Stati membri dovrebbero promuovere l’uso volontario della risoluzione alternativa delle controversie (ADR), al fine di risolvere in modo più rapido le controversie tra creditori e debitori, senza pregiudicare le loro relazioni commerciali (art. 16)
Per quanto concerne le nuove misure previste per i pagamenti tra amministrazione ed imprese, la proposta presenta taluni aspetti migliorativi rispetto alle regole attuali.
Anzitutto un rafforzamento del termine massimo di pagamento a 30 giorni di tutte le transazioni.
Inoltre, sembra anche rafforzare il termine massimo per l’adozione del SAL, pari a 30 gg. Al riguardo, va premesso che, per i contratti di lavori pubblici, secondo la legislazione nazionale, la procedura di accettazione o verifica delle prestazioni avviene progressivamente nel corso dei lavori, e culmina con l’adozione del SAL, una volta che la progressione abbia raggiunto gli importi contrattualmente previsti. Ciò posto, la proposta di regolamento appare positiva laddove ribadisce il termine massimo di 30 giorni per l’effettuazione di tale verifica, che, appunto, sfocia nell’adozione del SAL.
Merita al contempo molta attenzione l’introduzione – “a cascata” – di un termine di pagamento di 30 giorni nei rapporti tra appaltatore e subappaltatore.
Inoltre, tale meccanismo potrebbe risultare penalizzante per l’appaltatore che si trovasse comunque a subire “a monte” un ritardo nei pagamenti da parte della committenza pubblica. In tal caso, un indispensabile correttivo dovrebbe prevedere l’introduzione, a favore dell’appaltatore, dell’automatica estensione dei termini di pagamento nei confronti dei propri subappaltatori, sino ad avvenuto incasso delle somme spettanti dall’amministrazione.
La normativa europea sui ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali si applica anche ai rapporti tra imprese. In questo ambito la proposta di Regolamento finalizzata a modificare la Direttiva 2011/7/UE attualmente in vigore, e recepita in Italia con il D. Lgs. 192/2012 di modifica del D. Lgs. 231/2002, andrebbe ad introdurre una disciplina che, nei suoi tratti sostanziali, appare particolarmente stringente e limitativa del principio dell’autonomia contrattuale sancita dal codice civile.
Per quanto di interesse per il settore privato delle costruzioni, la disciplina sui ritardi nei pagamenti trova, in linea generale, applicazione a contratti quali, a titolo esemplificativo: appalto di lavori o servizi, fornitura di beni come materie prime e prodotti semilavorati, compravendita, locazione, contratto d’opera professionale, trasporto, deposito. La definizione di transazioni commerciali, in verità, è sempre stata estremante generica in quanto si riferisce a contratti che comportano la consegna di beni o le prestazioni di servizi contro il pagamento di un prezzo. Ciò, lo si evidenzia, sempre e soltanto se le parti del contratto assumono la qualifica di impresa/imprenditore. Non riguarda le transazioni dove una parte assume, quindi, la qualifica di consumatore.
Si tratta, pertanto, di un ambito di applicazione particolarmente esteso motivo per cui una normativa, che nasce a livello europeo per armonizzare i termini di pagamento tra imprese in settori commerciali che possono essere anche assai diversi tra loro e con problematiche specifiche, dovrebbe limitarsi per la parte privata a fornire solamente dei criteri direttivi e delle indicazioni di riferimento sui tempi di pagamento (ciò che attualmente prevede la direttiva del 2011 e la normativa italiana di recepimento).
L’attuale direttiva 2011/7/UE, pur avendo un contenuto dispositivo e indicando in 30 giorni il termine scaduto il quale decorrono gli interessi di mora prevede, però, che le parti possano sempre concordare un termine di pagamento superiore a quello indicato dal D.lgs. n. 231/2002 (che ha recepito la direttiva). Tale facoltà incontra, tuttavia, un limite nella previsione che l’accordo delle parti volto a stabilire un termine superiore a 30 giorni ma entro i 60 giorni dovrà essere approvato per iscritto mentre in caso di termine maggiore di 60 giorni, l’accordo tra i contraenti dovrà essere pattuito espressamente.
Si può osservare come, per mezzo delle richiamate e vigenti previsioni normative, il legislatore abbia di fatto già attenuato il principio generale della libertà della forma, espressione dell’autonomia privata e della libertà negoziale, in considerazione del bisogno di tutela del creditore, inteso come parte debole della transazione commerciale. In considerazione di ciò, per quanto riguarda le transazioni tra imprese, la ratio della normativa dovrebbe continuare ad essere non tanto quella di imporre determinate regole inderogabili rispetto ai tempi di pagamento, quanto, piuttosto, quella di salvaguardare l’efficienza del mercato reprimendo gli abusi e quindi rafforzando gli strumenti di tutela per i debitori con procedure giudiziarie o alternative ad esse (ADR o istituzione di apposite autorità nazionale preposte ai reclami) che possano concludersi in tempi brevi e con costi sostenibili. Da questo punto di vista appaiono pienamente condivisibile le proposte contenute nella bozza di regolamento che impegnano gli Stati membri a rafforzare l’applicabilità della disciplina sui ritardati pagamenti stabilendo mezzi di ricorso efficaci (quello che viene chiamato approccio “reattivo”).
La proposta di nuovo Regolamento correttivo, che risponde alla necessità di voler introdurre nelle transazioni commerciali un limite temporale “invalicabile” di 30 giorni anche per i pagamenti tra due imprese toglie ulteriore margine di autonomia alle parti con ciò privandole, di fatto, della possibilità di poter contestualizzare i tempi del pagamento.
L’autonomia negoziale rappresenta, invece, un principio fondamentale idoneo a consentire alle parti coinvolte in una transazione commerciale il diritto di stabilire le condizioni del loro accordo senza interferenze. Questo principio è essenziale per il funzionamento efficace dei mercati, poiché consente alle imprese di adattare le loro transazioni commerciali alle specifiche esigenze e alle circostanze specifiche di ciascuna situazione. In considerazione di ciò, una revisione della direttiva nel senso prima evidenziato, da parte del legislatore europeo, corre il rischio di esulare dalle competenze concorrenti dell’UE in tema di “mercato interno” andando come si è visto ad incidere in maniera dirompente (il regolamento si andrebbe oltretutto ad applicare direttamente senza necessità di recepimento) sulle discipline nazionali in tema di ordinamento civile e, nello specifico di obbligazioni pecuniarie. Il codice civile italiano contiene già numerose disposizioni volte a regolare le conseguenze dell’inadempimento prevedendo al contempo forme di esonero di responsabilità in caso di non imputabilità del ritardo o per l’impossibilità temporanea di adempiere.
Inoltre, considerando che il Regolamento in quanto tale non necessita di un recepimento da parte del legislatore nazionale creerebbe un problema ulteriore di compatibilità con il diritto interno. Questo rende opportuna una riflessione attenta sull’impatto che tale Regolamento potrebbe avere sulle norme del codice civile. Peraltro, non è escluso che le diverse tipologie contrattuali al quale esso si andrebbe ad applicare non siano normate anche da discipline più settoriali.
In sostanza, pur riconoscendo che i tempi di pagamento tra imprese sono un elemento importante nelle relazioni commerciali e possono influenzare significativamente la liquidità delle aziende coinvolte non si deve sottovalutare il fatto che la tempistica dei pagamenti può variare a seconda del tipo di impresa, del tipo di servizio o prodotto fornito e delle negoziazioni tra le parti coinvolte.
La salvaguardia dell’autonomia negoziale in ambito privatistico resta quindi un fattore da tutelare e ciò per diversi motivi. Intanto, come detto, le imprese hanno esigenze diverse e devono essere in grado di negoziare termini di pagamento che si adattino alle loro particolari circostanze finanziarie e operative. L’autonomia negoziale inoltre favorisce per certi versi la concorrenza, poiché le imprese possono cercare fornitori che offrono condizioni di pagamento favorevoli, incoraggiando così una concorrenza sana nel mercato. È quindi auspicabile che si possa promuovere un ambiente commerciale competitivo trovando un equilibrio per garantire che le prassi di pagamento siano etiche, trasparenti e rispettose degli interessi di tutte le parti coinvolte.
Commenti