La Bce e la narrazione dell'inflazione
Sebbene alcune misure siano in diminuzione, l’inflazione di fondo rimane nel complesso elevata
"Le pressioni esterne sui prezzi si stanno allentando, mentre quelle interne, anche a seguito dell’aumento delle retribuzioni e dei margini di profitto ancora forti, stanno divenendo una determinante sempre più significativa dell’inflazione. Sebbene alcune misure siano in diminuzione, l’inflazione di fondo rimane nel complesso elevata, in parte per l’impatto persistente dei passati rincari dell’energia sui prezzi nell’intera economia. Benché la maggior parte delle misure delle aspettative di inflazione a più lungo termine si collochi attualmente intorno al 2%, alcuni indicatori si confermano elevati". E' quanto rileva la Bce nel bollettino economico di oggi nel quale si evidenzia come a giugno l’inflazione sia diminuita ulteriormente al 5,5% dal 6,1% di maggio.
Fra i rischi al rialzo per l’inflazione, sottolinea l'Istituto di Francoforte, "ci sono possibili nuove pressioni sui costi dei beni energetici e alimentari, connesse al ritiro unilaterale della Russia dall’iniziativa per il trasporto dei cereali dal Mar Nero e al suo attacco militare a terminal e porti ucraini dedicati al loro carico; condizioni meteorologiche avverse, che potrebbero far crescere i prezzi dei beni alimentari più del previsto; un incremento duraturo delle aspettative di inflazione al di sopra del nostro obiettivo oppure aumenti delle retribuzioni o dei margini di profitto maggiori di quanto atteso, entrambi i quali potrebbero sospingere al rialzo l’inflazione nel medio termine. Per contro, l’indebolimento della domanda, riconducibile ad esempio a una più intensa trasmissione della politica monetaria, determinerebbe un allentamento delle pressioni sui prezzi, soprattutto nel medio periodo. Inoltre, se il calo delle quotazioni dell’energia e i minori rincari dei beni alimentari si trasmettessero ai prezzi degli altri beni e servizi più rapidamente di quanto previsto, l’inflazione si ridurrebbe più velocemente".
La crescita salariale, osserva l'Istituto di Francoforte, è in aumento e sta divenendo una fonte sempre più rilevante di pressioni inflazionistiche. Pur rimanendo relativamente elevata nel primo trimestre del 2023, osserva ancora la Bce, "la crescita dei profitti per unità di prodotto si è attenuata nei singoli settori industriali, in particolare nei servizi a maggiore intensità di contatti". Un fenomeno che finora ha contribuito all'impennata dei prezzi. Come avevano osservato recentemente la Banca d'Italia e la Bce in un report nel 2023 l’inflazione è aumentata soprattutto per via dei profitti delle imprese. Nel dettaglio, nei primi tre mesi dell’anno, si osservava nel Bollettino economico di Bankitalia di luglio, "l’aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura, inclusi quelli della metallurgia, della chimica e della produzione di carta e legno, nei quali nonostante la contrazione dei prezzi si è osservata una diminuzione dei costi più intensa. Nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici; gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti".
Sulla stessa linea anche la Bce che, in un report intitolato 'Are wages and greedflation really pushing up prices?', spiegava che "negli ultimi trimestri le pressioni sui prezzi interni nel settore delle società non finanziarie sono state superiori a quelle registrate nell'economia nel suo complesso, grazie alla forte crescita del costo unitario del lavoro e al contributo sproporzionato dei margini operativi unitari".
L’istituto di Francoforte in quel report osservava poi come "i margini operativi lordi e netti hanno contribuito in modo sproporzionato alle pressioni interne sui prezzi nel settore delle Società Non Finanziarie nella seconda metà del 2022, rappresentando quasi il 50% delle pressioni interne sui prezzi in termini lordi e poco più del 30% in termini netti, in misura nettamente superiore alle rispettive quote del pil nominale (rispettivamente circa il 40% e il 20%)".
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